Biografia dell'architetto Giovanni Antonio Antolini scritta da se medesimo, in "Giornale Arcadico di Scienze, Lettere ed Arti", XCI (1842), pp. 340-349
GIOVANNI ANTONIO ANTOLINI ARCHITETTO
Giovanni Antonio Antolini nacque a Castelbolognese nel 1753. Il padre
Gioacchino morì precocemente lasciando il figlio alle cure di un
nobile della famiglia dei conti Ginnasi di Faenza che gli fece compiere
gli studi primari. Successivamente fu trasferito a Imola dove studiò
geometria presso il conte Francesco Codronchi e l'uso degli strumenti geodetici
presso l'ingegnere Baruzzi.
Dopo questo periodo di apprendistato il giovane Antolini si iscrisse
all'Università di Bologna dove studiò Fisica, Matematica
ed Architettura e ottenne il diploma di Ingegnere Architetto.
Nel 1775 è documentata la presenza dell'architetto a Roma dove,
almeno fino al 1777, lavora come aiuto dei periti Bertaglia e Manfredi
nei lavori di essiccamento delle paludi pontine.
Nei primissimi anni del lungo soggiorno romano l'Antolini redasse anche
un progetto, disperso, per la sacrestia di S. Pietro in Vaticano, costruita
su progetto di Carlo Marchionni dal 1776 al 1784, alla stesura del quale
non furono forse estranei gli aiuti e gli incitamenti del conterraneo architetto
Cosimo Morelli (vista l'amicizia di questi con Pio VI) e che gli valse
una pensione papale di 48 scudi.
Sempre in posizione subalterna, come aiuto del Capati, lavorò
alla costruzione di che il cardinale di Jorck fece costruire per sè
a Frascati.
A partire dal 1784 all'Antolini furono affidati vari incarichi in Umbria:
nel 1784 rileva e ristruttura l'Ospedale dei Proietti ed il monastero di
S. Tommaso a Fabriano; nel 1787 esamina lo stato della città di
Todi; nel 1788 a Bettona stende il progetto per la costruzione di un mulino
e, ad Assisi, viene incaricato di alcuni rilievi e della ristrutturazione
di palazzo Bini, casamento Tini e di un pubblico portico in travertino;
nel 1789 rettifica il corso del fiume Topino presso Cannara e costruisce
a Spello un mulino coi ; nel 1792-1793 costruisce un ponte in legno sul
fiume Puglia presso Todi nel 1794 a Città di Castello riceve alcuni
incarichi da monsignor Lopez: allargamento di un ponte senza rimuovere
i vecchi piloni, il progetto di un ponte in muratura da costruirsi sul
Tevere, un ponte in legno nei pressi di Borgo Sansepolcro, un ponte in
legno sul fiume Selce.
Accanto a questi incarichi di routine professionale l'Antolini, in
questi anni, pubblicò la prima delle sue opere a stampa a carattere
archeologico, L 'Ordine dorico ossia il Tempio d'Ercole nella Città
di Cori... (1785), con la quale intervenne nell'accesa disputa sul dorico
ed iniziò i rilievi del Tempio di Minerva in Assisi.
Sempre al periodo romano vanno ascritti alcuni progetti redatti per
una committenza inter: nazionale di passaggio a Roma che l'architetto ricorda
ripetutamente nei vari regesti autografi delle sue opere: delle Russie
(...); incombenzato fece i disegni del Monumento di Bronzo e Marmi che
eriggere dovevasi dall 'Università di Catania sulla Piazza Principale
della Città (...) Pel sig. Conte di Reweniouf fece i disegni di
una cappella sepolcrale, con sotterraneo per la famiglia sua da erigersi
a Copenhagen il rivestimento interno del quale è di marmi: e le
due grandi urne furono purfatte sotto la direzione dell'autore di marmo
nero e giallo di Porto-venere eseguite in Roma; per l 'ammiraglio russo
Czerniceff fece i disegni per un nobil' eremitaggio, da costruirsi in un
bosco vicino al fiume Neva, coll'obbligo d'impiegarvi 24 grandi colonne
di granito rosso, che il proprietario avea».
Di questa fitta e prestigiosa serie di progetti sono stati recentemente
rintracciati solo i disegni per il palazzo del duca di Curlandia e quelli
per il monumento Schimmelmann ad Amburgo (1784), realizzato, poi, dall'architetto
locale C.G. Horn.
colla pregiatissima sua del 24 scorso aprile. La mia malattia, che
le significai, ha portato una lunga convalescenza e spossamento di forze;
per cui ho dovuto stare un buon mese in campagna a passeggiare nella quiete,
e ne ringrazio l'altissimo Iddio.
Eccole dunque, eccellenza reverendissima, la mia vita e miracoli, come
suol dirsi, nell'unito scritto. Perchè nulla ignori, sono stato
un poco minuzioso, e mi compatirà. Ella nella sua saviezza farà
uso delle notizie, che le mando, in quel modo che stimerà conveniente
al suo scopo.
Altro non mi resta che caldamente raccomandarmi alla sua pregiatissima
grazia, e di pregarla a credermi che con ogni sorta di ossequio ho l'onore
di dirmi,
Di vostra eccellenza reverendissima,
Bologna, 15 agosto 1830
Umo devmo servitore
Gio. Antonio prof. Antolini.
Con il progetto neo-egizio (del 1787) per la sistemazione dell'obelisco
detto di Campo Marzio, l'Antolini mostra di essere pienamente inserito
nei milieux della cultura architettonica romana del tempo, all'interno
della quale, anzi, rappresenta una voce autorevole soprattutto per quanto
riguarda l'indagine archeologica ed una lettura dell'antichità essenzialmente
in chiave ideologica e non meramente filologica.
Il 1796, anno in cui venne chiamato a Jesi per definire i lavori pittorici,
eseguiti in parte dal Giani, della volta del teatro e per dirigere i lavori
nella cappella della vergine delle Grazie, Segna il ritorno dell'Antolini
nella terra natale, richiamato dal nobile faentino Achille Laderchi, fervente
giacobino e affiliato alla massoneria, che gli commise l'incarico di ricavare
nel palazzo familiare di piazza uno studio con annessi ambienti di servizio.
L'Antolini chiamerà il suo allievo di architettura in Roma, Felice
Giani, a decorare l'ambiente con figurazioni a carattere astrologico ed
esoterico con sottili allusioni al gabinetto massonico della iniziazione.
Data da questo anno una solidarietà tra l'Antolini ed il Laderchi,
dovuta ad una comune appartenenza alla massoneria e ad una singolare unita
d'intenti sul piano politico e culturale che vedrà affidare all'Antolini,
direttamente dalla famiglia Laderchi o indirettamente tramite la Municipalità
in cui i suoi nobili protettori rivestirono importanti cariche, la quasi
totalità degli incarichi del suo fertile periodo faentino: la costruzione
dei due archi fuori porta Imolese (1797-1800); il progetto del fuori porta
Imolese (1797); il progetto della villa Il Prato dei Laderchi (1798); la
costruzione della villa La Rotonda dei Laderchi (1798-1805); la sistemazione
nella quattrocentesca chiesa di S.Stefano del Circolo Costituzionale (1798).
L'incarico poi, affidato all'Antolini dal Milzetti per la prosecuzione
dei lavori iniziati dal Pistocchi nel nuovo palazzo di famiglia, ove l'architetto
di Castelbolognese realizzò lo scaloncino e la sala d'ingresso ottagonale
(permeata da una simbologia massonico-esoterica), va letto come un tentativo
del nobile faentino di rendersi amica la famiglia Laderchi, che proteggeva
l'Antolini, per poter entrare nella esclusiva loggia faentina ed avere
quindi, come accadde, maggiori occasioni di promozione politica e sociale.
Gli ultimi anni faentini dell'architetto furono alternati con sempre
più frequenti soggiorni milanesi. Il 24 ottobre 1798 l'Antolini
ricevette un premio di cinquanta zecchini per il suo progetto vincente,
non noto, presentato al concorso delle nel Lazzaretto di Milano; e, sempre
nella capitale della Repubblica Cisalpina, l'architetto assunse l'incarico
di membro della Commissione delle Acque.
A partire dal 1800 l'Antolini lavora al grandioso progetto del Foro
Bonaparte e, dal maggio 1802, è architetto del Duomo di Milano in
sostituzione del Soave. Nel marzo 1801 si reca a Parigi per presentare
al Bonaparte i disegni del Foro, ma difficoltà economiche e mutato
clima politico iniziano a frapporre ostacoli alla realizzazione del progetto
tanto da indurlo a pubblicare l'opuscolo Piano economico politico del Foro
BonaparteÖ (1801) ed a presentare un progetto alternativo di minore costo
(1802).
Dello stesso anno è l'ultima opera faentina dell'architetto:
il progetto della villa Milzetti che risulta derivata per la centralità
della villa scarnozziana attorniata da barchesse semicircolari, dal modello
dei Foro Bonaparte declinato in versione agreste.
Nel 1803 l'Antolini pubblica la sua seconda opera a carattere archeologico
Il Tempio di Minerva in Assisi... ed il primo volume sul Foro Opera di
architettura, ossia Progetto del Foro... (stamperia dei fratelli Bettalli).
Nello stesso anno però viene anche esonerato dall'incarico della
direzione dei lavori del Foro e, nel 1804, emarginato dalla scena politica
e culturale milanese e relegato a Bologna come insegnante all'Accademia
di Belle Arti. Negli anni del Regno d'Italia l'Antolini ricevette solo
incarichi di modesta entità, se si eccettuano i progetti veneziani
per la duplicazione della Zecca e per la nuova ala delle Procuratie in
piazza S. Marco: nel 1806 il riattamento dei palazzi del Te di Mantova,
nel 1807 la sistemazione di alcuni locali nella villa di Strà, nello
stesso anno il progetto per la trasformazione del convento della Carità
a Venezia, sede dell'Accademia di Belle Arti, i lavori nel palazzo Caprara
di Bologna (1808) ed infine i lavori, non rilevanti, nel palazzo reale
di Modena (1813). Nel 1806 esce la seconda edizione del Foro Bonaparte,
stampata dal Bodoni a Parma, e nel 1813, ad uso delle scuole, l'Antolini
pubblica le Idee elementari di architettura civile.... Al 1812 datano i
primi rapporti con gli architetti toscani Nottolini e Poccianti.
In questi anni il disincanto antoliniano è ormai totale, ogni
carica prefigurativa del suo linguaggio viene abbandonata: la sinistra
neoclassica è stata sconfitta come attesta il suo ironico progetto,
non tradotto in elaborati grafici, per il monumento sul Moncenisio in cui
propone un gigantesco e dissacrante monumento al Bonaparte a braccia allargate
come Marte Conciliatore. Con la caduta del Regno d'Italia l'Antolini viene
estromesso, per motivi evidentemente politici, dall'Accademia di Bologna.
D'ora in poi l'architetto risiederà abitualmente a Milano dove,
non riuscendo a trovare committenza, si limiterà allo studio che
sfocerà nella pubblicazione Osservazioni ed aggiunte ai principi
di architettura civile di Francesco Milizia. Fin dal 1816 si dedica ai
rilievi della città di Veleia, pubblicati in due volumi nel 1819
e nel 1822.
L'unica occasione professionale del periodo della restaurazione gli
viene affidata da un massone: il conte Lechi di Brescia, per il quale l'architetto
sistemò alcuni locali nel palano nobiliare di città. Nell'ultimo
periodo della sua vita l'Antolini alterna il soggiorno milanese con viaggi
in Romagna per piccoli incarichi e soggiorni in Toscana dove rinsalda i
rapporti col Poccianti. Mori a Bologna nel 1841.
Riportiamo il testo della corrispondenza nella quale Antolini risponde alle richieste di Mons. Carlo Emanuele Muzzarelli, per la redazione della sua biografia da far confluire nel compendio riguardante "gli illustri italiani viventi", ai quali il nostro si scusa di appartenere. Pur tuttavia, nella stesura di tale biografia, nonostante dichiari di essere "stato un poco minuzioso", tralascia di citare alcuni episodi importanti della sua pratica progettuale. Forse, spinto dai timori del cambiato clima politico, e dalle alterne fortune che le costruzioni ebbero a subire, non elenca tra gli altri, il progetto per l'arco trionfale di ordine dorico a Faenza, fuori porta Imolese (1799, distrutto). Ancora a Venezia progetta il completamento delle "Procuratie Novissime" (1815), commissionate direttamente da Napoleone Bonaparte e la cui esecuzione fu poi affidata all'architetto G. Soli, che modificò ampiamente il progetto antoliniano. Dopo la distruzione della chiesa di S.Geminiano, eseguì, la costruzione del collegamento tra le vecchie e le Nuove Procuratie, su progetto di altri, e ultimate successivamente da G. Soli.
A MONSIGNOR CARLO EMMANUELE MUZZARELLI. - ROMA.
Fo scusa con vostra signoria illustrissima e reverendissima, se riscontro
tardi il pregiatissimo suo foglio del 24 passato aprile direttomi a Bologna,
da dove mio figlio qui me lo rispinse: perchè poco dopo ricevuta
caddi ammalato e lo sono tuttavia, ma meno aggravato, per cui posso adempiere
il mio dovere debolmente. Rendo infinite grazie a vostra signoria illustrissima
del pensiero che le è venuto, di mettermi cioè nel novero
di quelli, di cui la memoria non debba perdersi, colla compilazione biografica
degl'illustri italiani viventi che ella si assume. Io non posso, senza
mostrarmi ingrato, non condiscendere all'onore ch'ella degna di farmi;
ma mi permetta di farle nel medesimo tempo riflettere, che io sono tanto
da poco da non meritarlo: e se mai mi mostrai al pubblico con qualche meschinità
dell'arte mia, penso ora che fu piuttosto una temerità, che un sano
giudizio di azzardarla: e Dio sa come m'abbia il pubblico giudicato!
Per non mostrarmi adunque inurbano, io le manderò quelle notizie
sul conto mio, che vostra signoria illustrissima desidera, delle quali
farà quell'uso che crede. E di questo la soddisferò al primo
momento che la mia inferma sanità mel permetta. Intanto offro a
vostra signoria illustrissima la mia povera persona, nell'atto che colla
più verace stima, considerazione e rispetto ho l'onore dirmi,
Di vostra signoria illustrissima e reverendissima,
Milano, 12 giugno 1830
Umo devmo obbmo servìtore
Gio. Antonio prof. Antolini.
A MONSIGNOR CARLO EMMANUELE MUZZARELLI. - ROMA.
Mi perdoni se prima d'ora non adempii la mia promessa per accomodarla
di quanto ella degnò desiderare da me,
colla pregiatissima sua del 24 scorso aprile. La mia malattia, che
le significai, ha portato una lunga convalescenza e spossamento di forze;
per cui ho dovuto stare un buon mese in campagna a passeggiare nella quiete,
e ne ringrazio l'altissimo Iddio.
Eccole dunque, eccellenza reverendissima, la mia vita e miracoli, come
suol dirsi, nell'unito scritto. Perchè nulla ignori, sono stato
un poco minuzioso, e mi compatirà. Ella nella sua saviezza farà
uso delle notizie, che le mando, in quel modo che stimerà conveniente
al suo scopo.
Altro non mi resta che caldamente raccomandarmi alla sua pregiatissima
grazia, e di pregarla a credermi che con ogni sorta di ossequio ho l'onore
di dirmi,
Di vostra eccellenza reverendissima,
Bologna, 15 agosto 1830
Umo devmo servitore
Gio. Antonio prof. Antolini.