Capitolo II - b
LETTURA ANTOLOGICA DELLE OPERE DI GIOVANNI ANTONIO ANTOLINI
Relazione della visita fatta per ordine della Santità di nostro
Signore Papa Pio VI nella Città di Fabriano, da Monsignor Giuseppe
Vinci, Commissario e Visitatore Apostolico della medesima, MDCCLXXXIV (1784)
(Pandetta con 9 incisioni allegate)
La relazione in se non offre spunti di particolare interesse. Il fatto
che in essa vi siano contenute 9 incisioni acquerellate eseguite dall'Antolini,
testimonia i rapporti di questi con personalità di grande potere.
I grafici costituiscono comunque le opere di più antica datazione
di cui si possa sicuramente affermare che autore sia líAntolini.
Fig.9. G.A.Antolini, Progetto per la sistemazione egittizzante dell'obelisco di Campo Marzio a Roma ,1787, disegno, Forlì, Biblioteca comunale |
L'Ordine Dorico ossia il Tempio d'Ercole nella città di Cori
umiliato alla Santità di Nostro Signore Papa Pio Sesto da Gio. Antonio
Antolini Architetto, in Roma, nella stamperia Pagliarini, MDCCLXXXV (1785)
44
(Volume con 4 tavole allegate)
Con questa pubblicazione l'Antolini portò il proprio apporto alla vexata quaestio del dorico. Non conoscendo l'ordine originale greco, l'Antolini si appellò a Vitruvio come fonte più antica. L'architetto imposta quello che sarà il suo futuro uso dell'ordine dorico in chiave essenzialmente eroica e non meramente filologica: l'indagine archeologica come prassi architettonica e metodologica operativa e non solo come sforzo erudito. L'elenco delle tavole contenute nel volume e poste alla fine delle 19 pagine di testo sono le seguenti: tav. 1 pianta (parziale) - tav. 2 prospetto - tav. 3 particolari - tav. 4 iscrizioni. Risulta interessante la citazione che l'Antolini fa riferendosi ad un anonimo e ponendo in nota il testo arte di vedere nelle belle arti, cap. III, Architettura ove chiaramente l'autore non citato è il Milizia 45.
44. Il Tempio di Ercole a Cori (a monte), - a circa
26 Km da Latina - è stato edificato nel I sec. a.C., di esso oggi
resta il pronao con otto colonne sorreggenti la trabeazione ed il frontone.
Per una disamina sul tempio di Cori si veda: AA.VV., Piranesi nei luoghi
di Piranesi, Catalogo della mostra tenuta a Roma-Cori, Multigrafica editrice,
Roma 1979 pp. 113-136. G.Giovannoni, La curvatura delle linee nel tempio
di Ercole a Cori, in "Mitteilungen des K. D. Archaeologischen Instituts",
XXIII, 1908 pp. 109-130. G.Giovannoni, Antonio da Sangallo il giovane,
Roma 1959, I, p. 22 II, fig. 4 e 49 (sono contenuti dei disegni del tempio).
G.B.Piranesi, Antichità di Cora descritta ed incisa da G.B.Piranesi,
in folio pp. 15 con 10 Tavv. f.t. che offrono il risultato del suo rilievo.
Winkelman, Storia delle arti del disegno, Roma 1781, in cui è stato
ristampato "Osservazioni sull'architettura degli antichi". In questo testo
egli scrive, ed Antolini ad esso fa riferimento, che il tempio è
stato rilevato da Raffaello e che i disegni relativi sono nel gabinetto
del barone Stofch.
45. Antolini G.A., L'Ordine Dorico ossia il Ö, p.
211
I lavori per la riesumazione dell'obelisco eliopolitano con geroglifici
osannanti alla gloria del Faraone Psammetico II furono iniziati da Giulio
II, ma solo Benedetto XIV, nel 1784, ne stabilì l'estrazione dal
terreno. L'Antolini si inserì nell'accesa querelle circa la sua
sistemazione che vide coinvolti Giovanni Antinori, Nicola D'Azara, Giovanni
Stern.
Esclusa una sistemazione urbanistica che privilegiasse il carattere
urbano e di riferimento visivo dell'obelisco sistemandolo isolato in luoghi
chiave della scena urbana, l'architetto studiò una composizione
di carattere neo egizio che risente, nel tema della cascata e della roccia
viva, di temi tipici del barocco romano.
Palazzo Pianetti 46 - Il progetto del nuovo ad integrazione del costruito
Dopo la mancata realizzazione delle precedenti proposte progettuali
redatte da Tommaso Bicciagli, Giovanni Antonio Antolini, in quel periodo
a Jesi per occuparsi del Teatro47,
é incaricato dal Marchese Angelo Pianetti di redigere una proposta,
mirante a risolvere i vizi "funzionali" del suo complesso edilizio.
Le circostanze che giocano un ruolo importante nell'attribuzione dell'incarico
all'Antolini é in primo luogo la sua notorietà, - in quel
momento l'Antolini riveste le cariche di Regio architetto, Ispettore dei
reali Palazzi di Mantova oltre che di quelli di Venezia e del Brenta, docente
di architettura civile militare e di geometria pratica nell'Università
di Bologna 48 - e le reali capacità
professionali del tecnico, abbinate alla sua particolare collocazione politica,
del tutto gradita ai nuovi padroni francesi.
In ciò va inquadrata l'aspirazione, del resto giustificata,
dei nobili Pianetti a poter comunque vantare, come confermano i nomi autorevoli
dei progettisti precedentemente incaricati, una prestigiosa "firma" per
il proprio Palazzo. Il rapporto con la committenza comunque si impronta
ad un chiaro e sicuro accordo; a tale proposito il bolognese non manca
di evidenziare, molto diplomaticamente, tale "identità di vedute"
- come si legge nella didascalia della Pianta del Piano Nobile nei disegni
di progetto.
I contenuti generali del progetto dell'Antolini si riassumono nella
proposta di un'integrazione del già costruito con corpi di fabbrica
indipendenti. Le proposte che lo avevano preceduto, come quella del già
citato Bicciagli, prevedono invece operazioni di demolizioni ampie ed onerose.
L'architetto bolognese, nell'Aprile del 1796 49,
"combinando" l'idea avuta dal Marchese Pianetti, progetta un corpo di fabbrica
a forma di "L" rovesciato rispetto al complesso preesistente, al quale
è collegato nelle due estremità e in posizione intermedia
da due imponenti porticati con colonne praticabili anche superiormente,
sormontati da balaustre e statue che coronano anche la sommità della
facciata interna della nuova ala.
Il braccio lungo della "L" avrebbe occupato l'intero spazio degli attuali
passeggi e prospettiva, mentre il lato corto l'area al confine con un'altra
proprietà.
La proposta in se valida, soprattutto per l'interessante e "moderna"
tipologia di cortile suddiviso in tre aree intercomunicanti, interamente
porticato lungo tutta la linea perimetrica, annulla l'immagine peculiare
del palazzo tardo barocco incentrato nello spazio giardino, punto focale
dell'intera composizione.
Le sei tavole con le quali illustra il progetto danno un'idea esauriente
della proposta antoliniana che, se realizzata, avrebbe senza dubbio costituito
un interessante esempio di architettura "neoclassica".
Nei disegni di progetto tornano gli elementi caratteristici del suo
stile: la meccanica combinatoria di sale in sè autonome e formalmente
definite, l'uso dell'ordine dorico, entrambi elementi tratti dal patrimonio
classicista.
La pianta del piano terra evidenzia il "felice" innesto del nuovo sul
vecchio in un contesto planimetrico rigorosamente simmetrico, che l'Antolini
ottiene rettificando l'andamento irregolare delle mura urbane; il preesistente
porticato è concluso a mezzogiorno da un'analoga struttura che disimpegna
alcuni piccoli appartamenti per i dipendenti, oltre al complesso delle
stalle (la selleria e la scuderia) e rimessa generale. Il vasto cortile
interno è interrotto da due passeggi colonnati, colleganti le gallerie
del piano nobile, di fattezze classiche a riprova di una sensibilità
progettuale non disgiunta da originali intuizioni spaziali.
Per ciò che riguarda la disposizione planimetrica del piano
nobile, l'architetto bolognese propone, in continuità con quella
esistente, un nuovo tratto di galleria, disimpegnante gli ambienti di rappresentanza,
ed interrotta da una sala guardaroba, priva degli ambienti ottagonali alle
estremità e collegata a quelli preesistenti, sia internamente che
esternamente, tramite i suddetti passeggi scoperti.
L'Antolini si preoccupa anche di trovare una sede alla fornita biblioteca
di famiglia. L'ampio ed articolato vano Biblioteca è situato sulla
destra del complesso guardando la facciata esterna; esso prevede un accesso
interno attraverso la sala ottagonale, ed è inoltre servito da un
ingresso autonomo destinato ai visitatori.
In sintonia col carattere marcatamente "funzionalista", peculiare del
Neoclassicismo, l'Antolini introduce il concetto di "flessibilità"
nell'ampio vano adibito stabilmente a Biblioteca che: "in occasione
di ricevimenti servir potrebbe per gran sala di compagnia, ricoprendo soltanto
di tappezzerie le scansie incastrate nei muri".
Fig.10. G.A.Antolini, Progetto di ampliamento del Palazzo Pianetti, 1796. Particolare |
Abile nella distribuzione degli ambienti e nell'impianto planimetrico
generale, la notevole caratura artistica del progettista ha modo di emergere
con chiarezza nelle proposte di facciata interna ed esterna rispetto al
cortile.
La facciata sud, rigorosamente simmetrica, esprime un "classicismo
archeologico", rigoroso, razionale, didattico, tipico del primo Neoclassicismo
e della poetica antoliniana che si riallaccia alle più avanzate
espressioni della cultura architettonica romagnola, in particolare alla
produzione del Pistocchi e con i movimenti politici d'avanguardia.
Più in linea con i canoni estestici di un Neoclassicismo già
più avanzato, il fronte interno che indica, attraverso l'assetto
"tripartito", la chiara gerarchia funzionale e volumetrica, dell'intera
composizione architettonica: doppio ordine di colonne inferiori più
paraste superiori per evidenziare l'ingresso principale del nuovo corpo
di fabbrica.
Questo settore che prevede a pianterreno arcate chiuse e ridotte a
finestre, ha l'ingresso principale tripartito da colonne in basso e paraste
nell'ordine superiore, architravato con balconi; qui sono previste nicchie
e statue laterali ed al centro una porta con timpano. Conclude l'insieme
un orologio posto fra cornucopie e festoni.
Anche la proposta dell'Antolini, come per quelle dei suoi predecessori,
malgrado l'evidente determinazione dei Marchesi Pianetti a realizzare concretamente
quanto disposto sulla carta, non ha esito positivo.
Molteplici le cause; ingenti sono gli impegni economici già
affrontati per la costruzione del Palazzo, per le decorazioni e per l'arredo
di alta qualità. Tutto ciò certamente incide sulla disponibilità
finanziaria della famiglia e causa qualche rallentamento nell'affrontare
altre spese imponenti per nuovi progetti. Il colpo di grazia alla realizzazione
del progetto è dato comunque dallíoccupazione francese del 1797-99;
in quella occasione nel Palazzo, come nel resto della città do Jesi,
vengono compiuti atti di saccheggio e di vandalismo, tra cui l'abbattimento
delle statue, poi rimesse in piedi, e la distruzione delle armi gentilizie.
Ma soprattutto l'imposizione di nuove e gravose tasse ai cittadini da parte
dei Francesi, l'obbligo della consegna delle derrate per le truppe e di
foraggio per i cavalli, la forzata consegna di ori e di argenti dovettero
determinare ripercussioni anche sulla famiglia Pianetti.
46. Agostinelli M., Taus P., I disegni di progetto
e di rilievo e la documentazione d'archivio di Palazzo Pianetti, in "AA.VV.,
Il Palazzo Pianetti di Jesi. Rilettura grafica e analisi storica di un'emergenza
urbana, Cassa di Risparmio di Jesi, Ancona 1992", pp. 91-163
47. Agostinelli M., Taus P., Battistelli F., Il Teatro
di Jesi, da "Architettura teatrale nelle Marche". Dieci teatri del Comprensorio
Jesi-Senigallia, C.R.J. Jesi 1983
48. Gaddi E., Progetti per Venezia di G.A.Antolini,
in "Architettura in Emilia-Romagna dall'Illuminismo alla Restaurazione",
1977, pp. 81-101, ed Gambuti A., Giovanni Antolini e la questione del "dorico",
in "Architettura in Emilia-Romagna dall'Illuminismo alla Restaurazione",
1977, pp. 43-54.
49. Ne testimonia la "Nota di pagamento all'architetto
Antolini per il disegno relativo alla ristrutturazione del palazzo: S.
83,85 pagati al sig. Gio. Antolini architetto per disegno fatto per la
nuova idea di fabbrica da aggiungersi al palazzo", in A.P.B.C.J., Libro
Maestro, (1789-96), 31 maggio 1796, c.617